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La genesi di un pacifico scorrimento. Il sentire di figli: si
sentono piccoli. Lo è da natura. Piccoli i figli, grandi i
genitori. La religione dava loro una mano. Difesa di quel
sentire. All’oscuro di tutto, decisioni dei genitori. Lavora
sempre in soggezione al patriarca e reggitrice. Condizioni
da noi vissute sotto quella autorità.

Anche l’autorità dobbiamo lasciarci odiare? Presentata
così: lo scorrimento dei genitori nei figli; l’abbiamo confrontata
con la divina Paterna e Figliale. Risultato: la sua
sacrificale, la nostra neppure sacrificabile. Brutto segno:
l’umana è contraria alla divina. Allora abbiamo rincorso la
genesi della autorità genitoriale.
I genitori sentono i figli, li sentono nell’amore, li sentono
suoi di loro; totalmente suoi da escludere finanche Dio.
L’attesa vibrante è che il figlio si senta loro.
Da quel sentire scorre quello che si attende ansiosamente:
figli affezionati, rispettosi, ossequienti, obbedienti, devoti
in tutto. Alla somiglianza fisica si aggiunge la somiglianza
morale, e con tutto questo i genitori possono assaporare
un piacere sconfinato: il piacere di una comunione totale
con i propri figli.
Comunione a senso unico, comunione germinalmente
egoistica. L’autorità dei genitori è scorrimento da grandi,
non da piccoli; tanto grandi, che alla minima resistenza la
risposta è una sola: quella dell’odio con tutte le sue minacce
e con tutte le sue vendette sia verbali che reali, per le
quali sentono Dio loro alleato: ‘Ti castigherà il Signore! Ti
maledirà!’. Vendette vergognose, alle quali Dio non presta
neppure un dito, anche se queste cose sono passate pacifi-
camente anche nella Bibbia dell’Antico Testamento, ottenendone
una convalida assoluta. Questa è la genesi dell’autorità
infernale dei genitori. Infernale perché viene
gestita esclusivamente dall’amore di odio.
Ma ora passiamo alla genesi di quel pacifico scorrimento
che ha favorito l’affermarsi di questa autorità infernale. Lo
scorrimento viene facilitato da un particolare sentire dei
figli. Quale? Il loro sentirsi piccoli.
Lo è da natura. Un infante non si sente grande, ma piccolo
assai: è poca cosa, non ha nulla, non sa nulla, non può
nulla, non fa nulla. Per lui fanno tutto i suoi genitori: lui si
sente piccolo davanti a loro che si sentono grandi. Sono
due le molle che fanno scattare la voglia di fare famiglia:
il piacere del sesso e il piacere della grandezza genitoriale.
La stessa religione la si sfruttava per questo: inculcava
un forte sentire della grandezza dell’autorità religiosa, e
ancor più un terrificante sentire dell’autorità divina, un
valido sostegno a quella genitoriale.
Prezioso quel sentire, lo si tutelava in ogni modo. Nel contempo
ci si impegnava a conservare il più possibile il sentirsi
piccolo dei figli. All’oscuro di tutto: non era concesso
l’ascolto dei grandi; nessun potere decisionale, né per
la vocazione, né per la scelta matrimoniale.
L’ambiente chiuso di allora, quello agricolo, l’inserimento
necessario in quel mondo, le condizioni di vita povere,
rendevano impossibile l’espansione dell’amore per sé; il
sentire dei piccoli permaneva inalterato fino al matrimonio
e anche oltre, perché non lasciava uscire dalla famiglia
patriarcale.
Fino alla morte del patriarca tutti giacevano ordinatamente
attorno a quel centro; anche la reggitrice sottostava
devotamente a quella organizzazione famigliare.
Lo scorrimento era da genitori grandi a figli perpetuamente
piccoli. Era pacifico, da nessuno contestato; attorno ad
esso restava la famiglia intera, senza un cigolìo, perché
veniva subito eliminato d’autorità. E il potere non gli mancava,
perché la vita era possibile solamente in famiglia;
fuori, non c’era alcuna possibilità.

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